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L’ansia da prestazione

L’ansia è uno strumento adattivo, che ci permette di prepararci ad affrontare degli eventi o delle situazioni che percepiamo come minacciose o pericolose. Se presente nella giusta quantità l’ansia ci permette di attivare una serie di meccanismi che rendono la nostra mente più vigile e reattiva all’ambiente esterno, aiutandoci così a trovare con maggior facilità le soluzioni necessarie, anche nei casi in cui il contesto diventa particolarmente avverso. In alcuni contesti avere l’ansia è assolutamente normale.

Affrontiamo l’ansia da prestazione

L’ansia da prestazione è legata appunto ad una performance e consiste nel timore del manifestarsi di una difficoltà nel momento in cui affrontiamo una prova; può verificarsi nei più svariati ambiti e la persona che la vive ritiene assolutamente indispensabile il successo o il raggiungimento di un obiettivo in tali situazioni.

I sintomi che aiutano a riconoscere l’ansia da prestazione sono ad es.: tachicardia e palpitazioni, sudorazione in eccesso, sensazione di mancamento fisico, tremori, nausea, respiro affannoso, irritabilità, insonnia, disturbi di concentrazione e di memoria, panico.

I sintomi variano sia dal punto di vista dell’intensità che della variabile temporale. Solitamente l’acutizzazione dei sintomi legati all’ansia da prestazione avviene in concomitanza con l’avvicinarsi dell’evento o della situazione che il soggetto identifica come difficile da affrontare e nei cui confronti ha sviluppato un timore elevato per un eventuale insuccesso. L’ ansia da prestazione può manifestarsi in vari ambiti come la scuola, il lavoro, lo sport, lo spettacolo, le relazioni sentimentali.

Paura del palcoscenico: l’ansia da prestazione nello spettacolo

Così come nello sport anche nell’ambito dello spettacolo le aspettative del pubblico sono alte e possono provocare stati di ansia nei lavoratori di questo ambito. Gli eventi che provocano l’ansia da prestazione sono solitamente gli spettacoli o i concerti, possono coinvolgere non solo gli attori, i cantanti, i musicisti e i ballerini, ma anche i tecnici che lavorano dietro le quinte. La paura del palco è un fenomeno piuttosto consistente e complesso da analizzare, si caratterizza per la presenza di un vero e proprio conflitto tra il desiderio di mettersi in gioco esponendosi di fronte al pubblico e il timore di risultare inadeguati e di fallire nell’esecuzione della performance.

Chi decide di calcare un palcoscenico esponendosi al giudizio del pubblico, mette in gioco se stesso e accetta le conseguenze positive e negative che potrebbero scaturire da una situazione già di per sé ansiogena, a differenza dell’ansioso sociale, in cui anche la minima possibilità di contatto con gli altri viene percepita come un pericolo da scongiurare in ogni modo (paura della vicinanza e del giudizio altrui).

La performance di un artista implica invece un’esposizione ad un pubblico reale pronto ad osservare e giudicare. Negli artisti (musicisti, cantanti, attori, ballerini) l’ansia può scaturire da una serie di paure consapevoli e razionali, ma anche inconsapevoli, legate ad esempio a stimoli condizionati come esibizioni passate non ottimali o insuccessi. Spesso, è proprio il ricordo di tali esperienze ad alimentare ulteriori pensieri negativi ed ansie anticipatorie.

L’ansia anticipatoria è un tipo di ansia caratterizzata da un’espressione più cognitiva che fisiologica e si manifesta con un senso di apprensione e preoccupazione per il pensiero di qualcosa che dovremo fronteggiare in futuro.
Sul piano cognitivo è spesso presente una valutazione delle proprie capacità intrisa da vissuti di inadeguatezza rispetto alla possibilità di eseguire una buona performance. In effetti, una condizione di questo tipo non fa altro che ostacolare l’artista nella sua esibizione, interferendo realmente con la sua capacità di concentrazione e con l’esecuzione tecnica.
Si innesca, come è possibile notare nelle varie forme d’ansia, un vero e proprio circolo vizioso che può indurre il soggetto a condotte di evitamento che limitano la sua crescita personale e professionale. La ricerca del perfezionismo può rivelarsi controproducente, nella misura in cui andrà ad esacerbare i sintomi ansiogeni presenti nella paura del palco, prima e durante il fatidico momento dell’esibizione.

Come si interviene

Tra i rimedi e i consigli su come risolvere una situazione di ansia di questo tipo c’è, quindi, il fatto di non pensare a dove si vuole arrivare, bensì concentrarsi sul processo per raggiungere l’obiettivo prefissato, il tutto lavorando solo sugli elementi che si trovano sotto il proprio controllo e su cui si ha influenza. Concentrarsi su cose che non si possono gestire fa solamente crescere l’ansia da prestazione e occupa la mente in pensieri inutili, capaci di generare solo impotenza e paura.

Le forme di intervento particolarmente efficaci, soprattutto se combinate tra di loro, riguardano gli aspetti della comprensione di sé e delle proprie insicurezze, della capacità di autoregolazione e stabilizzazione emotiva, dell’ analisi delle aspettative per riuscire a superare l’atteggiamento ipercritico e/o rimurginante. Si interviene inoltre sull’inclinazione al perfezionismo, rivendendo così quello che è il concetto di perfezione e indagando sulle cause che portano a voler raggiungere standard molto alti e spesso perfino irrealistici.

Studi particolarmente interessanti hanno posto in evidenza gli effetti positivi che alcune tecniche come yoga e mindfulness (vedi pagina dedicata su questo sito) possono generare sulla performance degli artisti, partendo dal presupposto teorico dell’esistenza di una connessione mente-corpo.

Infatti l’utilizzo di queste tecniche, che includono esercizi di respirazione e meditazione, porta al mantenimento della concentrazione prestando attenzione alla realtà nel momento presente in maniera distaccata e non giudicante; inoltre vi è un miglioramento della postura e della flessibilità corporea globale. Queste metodologie risulterebbero molto efficaci anche nel trattamento dei disturbi muscolari e posturali che spesso vengono sviluppati soprattutto dai musicisti per via dell’eccessivo allenamento e per fattori psicologici legati allo stress.

Inoltre anche l’atteggiamento della compassione, che si accresce attraverso pratiche meditative ed immaginative, ci aiuta ad incrementare atteggiamenti di gentilezza per sviluppare nei nostri confronti una parte saggia e amichevole, quindi meno critica e giudicante.

La terapia EMDR (vedi pagina dedicata su questo sito) invece può aiutare il soggetto ad elaborare correttamente situazioni traumatiche del passato che ancora sono impattanti nel presente superando così disfunzioni che portano con sé il senso di inadeguatezza, il timore dell’insuccesso o del fallimento.

La terapia EMDR ha come base teorica il modello AIP (Adaptive Information Processing). Secondo questo modello le reti dei ricordi delle esperienze immagazzinate rappresentano sia la base della salute mentale sia della patologia. Le nuove esperienze sono considerate come un flusso di parti di informazioni consce e inconsce senza mai fine che vengono elaborate dal sistema di elaborazione delle informazioni del cervello e integrate all’interno delle reti di queste memorie. Quando hanno luogo esperienze negative, il cui impatto impedisce al sistema di andare a soluzione, gli stessi meccanismi bloccano le informazioni collegate all’esperienza negativa. Nel caso di esperienze immagazzinate in modo disfunzionale, i diversi aspetti dell’esperienza sono frammentati e possono riattivarsi in modo del tutto involontario (flashback, immagini, pensieri automatici, ecc.) assumendo quindi un carattere disadattivo.

Dopo una o più sedute EMDR, i ricordi disturbanti legati all’evento traumatico vengono desensibilizzati e perdono la loro carica emotiva negativa. Il cambiamento è molto rapido, indipendentemente dagli anni trascorsi dall’evento.

Peak Performance: la prestazione ottimale

Si parla di peak perfomance (prestazione di picco) per descrivere una prestazione eccellente.

La Psicologia dello Sport, ha analizzato il modello del Flow (flusso) teorizzato dallo psicologo Mihaly Csikszentmihalyi (1990) per lo studio della prestazione eccellente. Il Flow è un’esperienza piacevole, un flusso continuo di attenzione concentrata durante il quale si perde la cognizione del tempo e tutto ciò che non attiene al compito sembra svanire. E’ uno stato d’animo caratterizzato da una profonda connessione tra l’individuo e il suo sé, una condizione che consente al soggetto di esprimere il proprio potenziale nel migliore dei modi. Il Flow predispone la performance e genera la peak performance: questo concetto, ben conosciuto in ambito sportivo, è poco noto in quello artistico.

La performance ottimale è quindi frutto di preparazione mentale oltre che tecnica. Attraverso tecniche meditative (come la mindfulness) e immaginative (ad es. costruire mentalmente una performance verosimile “simulata”, affrontando anche i possibili imprevisti) possiamo arrivare a raggiungere questo stato mentale, diventando tutt’uno con la nostra performance.

Concludendo…

Le prestazioni migliori sono quelle che affrontiamo con determinazione, quindi con un minimo di “carica”. Un livello ottimale di ansia ci vuole e aumenta la nostra concentrazione, ci rende più focalizzati e connessi con quello che stiamo facendo, diminuendo la percezione dello sforzo. La nostra parte compassionevole, saggia e gentile è lì per sostenerci a farcela.

Quando ci esibiamo siamo in quel contesto per vivere il canto, la recitazione, la musica, la danza e donare agli altri emozioni, immagini, sensazioni fisiche… non per essere perfetti!

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